Jalmicco: le Origini Storiche
Jalmicco, la sua storia attraverso vie, case e borghi.
Jalmicco ha conservato la forma tipica dei paesi rurali. Si sviluppa infatti lungo la strada principale e le sue case seguono le linee sinuose dell’asse viario. Dalla piazza, di forma triangolare, dove di impone la chiesa parrocchiale con il campanile dalla cuspide bicolore, si dipartono de quattro vie che portano a Udine, Cividale, Gorizia e Palmanova. E’ un paese dalla forma “lungo strada”. Le case più antiche si susseguono a filo fisso, ovvero una unita all’altra, con le vie punteggiate da edifici tipici. Possiamo citare ad esempio la casa Minigutti che ancora oggi racconta, nella sua facciata di sassi e pietre i materiali che l’hanno costruita e ed i resti di una vecchia porta carraia trasformata in pedonale della quale si nota l’arco con la chiave di volta. L’altezza della chiave di volta ci fa capire che un tempo la strada doveva essere ad un livello inferiore di quella odierna.
La casa Azzan lascia intravedere la struttura della casa rurale con la pianta rettangolare, le finestre piccole protette da inferiate ed il passaggio carraio con arco a sesto ribassato in mattoni. La vecchia caserma della finanza (ex-casa Scagliarini) si differenzia dagli altri edifici del paese per il suo arco con pietre bugnate disposte a dimensioni alternate. Questo arco, definito a pieno centro, si spicca tra gli altri a sesto ribassato, tipici dell’architettura contadine. senza parlare delle tribolazioni che tutti conoscono del portone del Mago (dal soprannome di Giovanni Battista Bearzotti), prima distrutto nell’incendio del 1848, poi da uno spericolato camionista e poi in occasione della ristrutturazione dell’edificio alla sua destra, che porta alle abitazioni della famiglia Battistutta. Qui vediamo chiaramente il passaggio carraio che affianca la porta pedonale. Degni di nota sono anche il portone con tettuccio di Via 24 Maggio e l’edificio con contrafforti definito anche come fortificato all’angolo tra piazza Unione e vicolo Chiuso.
Anticamente Jalmicco era posto sulla strada romana di raccordo tra Ontagnano e Cormons e le sue origini romane sono confermate anche da ritrovamenti. Si racconta che nella zona conosciuta come i murs, dalle parti di via Caterina Percoto, (forse sul sito della casa della famiglia Bergamasco), esistesse una villa romana adorna di mosaici. Le origini romane sono confermate da ritrovamenti che, nel corso degli anni, hanno restituito reperti risalenti al I sec. a.C. fino al III sec. d.C. In particolare sono stati portati alla luce frammenti di mosaici e di marmi, oggetti di vita quotidiana come fibule, un campanello in bronzo, pedine da gioco ecc. Si suppone che anche nel territorio di Jalmicco sorgesse una villa rustica, una sorta di azienda agricola dell’antichità, inserita nel sistema viario romano.
Secondo alcuni studiosi la nascita del paese risale all’insediamento di una piccola comunità slava nel settimo secolo dopo Cristo. Il toponimo potrebbe derivare dallo sloveno “Jama” che significa fossa, buca. Ed il paese in effetti è ad un’altitudine inferiore rispetto a Visco ed a Viscone (visek infatti deriva dallo sloveno “sommità, cima”). E’ facile immaginare che, popolazioni in cerca di nuovi territori da abitare, si siano fermate in prossimità dell’importante via Postumia una volta che questa non veniva più utilizzata dagli eserciti.
La prima citazione scritta la abbiamo nel 1120, quando il toponimo compare tra le pertinenze del Foro Aquileiese. Nel 1211 viene citato nuovamente nella contabilità delle rendite della Camera Patriarcale quando si dice che un servo della gleba – “Simeon de Janich” – riscattò la libertà, propria e della famiglia, pagando ogni anno “unum denarium” (un denaro).
Un’altra data importante da ricordare è il 1420 che segna la caduta del Principato Civile di Aquileia ed il passaggio di Jalmicco alla Contea di Gorizia ovvero ai Conti goriziani. Dopo la loro estinzione, il nostro paese diventa territorio austriaco fino al 1818 quando passa alla Provincia di Udine. E’ facile quindi comprendere come mai i veneziani abbiano deciso di costruire proprio in quel sito strategico la fortezza di Palmanova.
Giunti a questo punto è importante dare uno sguardo anche alla storia religiosa del paese in quanto, si sa, a Jalmicco siamo particolari e le cose semplici non le sappiamo fare.
Dal 1308 la comunità sottostava, alla Parrocchia di Trivignano e i riti venivano celebrati presso la chiesetta di San Marco nelle campagne di Claujano. Nel 1583 per volontà del clero il paese fu unito alla neonata Parrocchia di Palmada, ma come narra il Pauluzzi, in occasione di processioni religiose avvennero delle risse e persino degli omicidi, tra gli abitanti di Palmada e di Jalmicco. Gli jalmicchesi non ne vollero più sapere di partecipare alle funzioni della Parrocchiale di Palmada, scegliendo di ritornare alla parrocchia di Trivignano. Le cose rimasero così fino alla soppressione del patriarcato di Aquileia che venne diviso dalla Santa Sede nei due arcivescovadi di Udine e Gorizia (1751).
Il I° Arcivescovo di Gorizia, Carlo Michele, venuto a conoscenza di quanto accadde a Jalmicco (appartenente alla sua diocesi), ordinò, pro bono pacis, che per le cose di spettanza spirituale il paese venisse diviso in due parti; il borg di sôre al Parroco di Trivignano, il borg di sòt al Pievano di Palmada. Nuovamente ci furono dei problemi e, il 17 maggio 1773, il Pievano di Palmada venne investito Parroco per entrambe le parti. Ma si trattava sempre di popoli dell’impero austriaco che sottostavano ad una diocesi in territorio veneto, quindi l’imperatore Giuseppe II, di concerto con l’Autorità Ecclesiastica, elevò, nel 1782, il paese a Curazia Indipendente per poi diventare parrocchia autonoma con il decreto imperiale del 3 giugno 1845 (dobbiamo ricordare che in virtù di questo la comunità beneficia del diritto di nomina del parroco – jus patronati)
Jalmicco è stata anche sede di un convento dei Padri Domenicani di Cividale. Il convento, del quale oggi rimane la cantina sotterranea della famiglia Cecotti, si estendeva da via Gorizia a Via Udine, lungo la proprietà delle famiglie Battistutta. Possiamo ancor oggi vedere sull’arco di ingresso alla cantina, la data del 1676 e possiamo immaginare la sua estensione grazie alla serie di portoni, ad arco a sesto ribassato, della stessa foggia, situati lungo via Gorizia.
Nella memoria collettiva di noi jalmicchesi la data che viene ricordata con più facilità da tutti, soprattutto dai non più giovani, è il 1848.
Certo tutti sanno che in quell’occasione il paese è stato incendiato dagli austriaci, ma cos’è successo esattamente?
L’Italia, in quel periodo, era divisa in molti staterelli e l’attuale Friuli era diviso tra il Lombardo Veneto ed l’impero Austriaco.
Il Congresso di Vienna che doveva mettere ordine dopo le guerre napoleoniche tra vincitori e vinti, nel 1815 divise l’“Italia” in sette stati sovrani assegnando il Lombardo Veneto all’Austria. Libri ed opuscoli diffusi dai primi patrioti che volevano l’unità d’Italia, avevano fatto maturare nei friulani un’avversione nei confronti del governo austriaco a causa della sua politica centralizzatrice, delle alte imposte, della coscrizione militare e della forte influenza dello Stato nelle cose della Chiesa.
Il 1848 è stato l’anno in cui tutti i popoli europei si ribellarono ai sovrani e questo avvenne anche in Friuli. A seguito delle ribellioni, Venezia si liberava dagli austriaci che rimisero ogni autorità civile e militare della provincia del Friuli nelle mani di un governo provvisorio abbandonando il Friuli con tutti gli ufficiali ed i soldati asburgici. Come a Udine anche in tutti i centri distrettuali della provincia, la cessione dei poteri avvenne senza incidenti e combattimenti tra il 23 e il 24 marzo, generando manifestazioni di universale euforia. Gli Austriaci cedevano al nuovo governo anche la fortezza di Palmanova.
Insomma erano tutti talmente felici per la dipartita degli austriaci che a nessun generale venne in mente che potessero tornare!
Ma nel frattempo gli austriaci stavano riorganizzando le truppe a Gorizia per muoversi nuovamente alla riconquista di ciò che avevano lasciato troppo facilmente.
I veneziani affidarono al barone Zucchi, relegato dagli austriaci nella fortezza di Palmanova, la difesa del Palmarino ed il Governo provvisorio del Friuli. Zucchi nominò un Comitato di guerra che aveva il compito di organizzare un esercito per la difesa del Friuli, composto da pochi soldati friulani addestrati e disciplinati e da molti volontari impreparati e tumultuanti raccolti nella guardia civica.
Nel momento in cui, il 16 aprile, giunse notizia dell’avanzata degli austriaci verso Udine si diffuse il panico. Rifiutata la proposta di resa, il Governo friulano provvisorio cercò di organizzare in fretta la difesa della città erigendo barricate, interruzioni stradali, sbarramenti con la collaborazione della popolazione.
Il generale austriaco Nugent, lasciata una brigata nei pressi di Visco per pattugliare la fortezza di Palmanova, continuò verso Udine.
Il 17 Aprile (lunedì santo) il generale Zucchi alla testa di 400 uomini, più o meno preparati, partì dalla fortezza verso Visco. La vittoria fu dei palmarini. Ma non tutte le truppe rientrarono in fortezza. I corpi franchi non obbedirono all’ordine di rientro e furono assaliti da tutto il reggimento degli austriaci. Le milizie volontarie ed inesperte del colonnello Conti, prese dal nemico, si diedero alla fuga perdendo perfino le armi lungo la strada, e non si fecero più sentire!.
Visco fu dato alle fiamme dagli austriaci e così Jalmicco, Privano, Sevegliano, Bagnaria, che nel 1866 prese per questo avvenimento il nome di Arsa, parte di Sottoselva e Fauglis.
In quella tragica notte vennero bruciati tutti i registri parrocchiali, le parti in legno della chiesa, togliendo ai posteri un’importante fonte storica. In paese rimase in piedi un’unica casa, come racconta la tradizione, la Casa di Bergamasco, oggi Tondon, in via Gorizia.
Gli anni che seguono sono caratterizzati dal lavoro nei campi e nella fornace di laterizi del paese, ma soprattutto dall’emigrazione verso le Americhe, Belgio, Francia e Germania.
Testo di G. Mattalone
Jalmicco – terra di confine
Il territorio di Jalmicco riesce a racchiudere delle particolarità che pochi conoscono, perché sono ben nascoste tra il verde dei campi. I campi ed i prati sanno diventare qui, raccoglitori di testimonianze di un passato spesso dimenticato ma che ancor oggi ha delle preziose e rare manifestazioni sul terreno.
Come già detto, Jalmicco passa, alla caduta del principato civile dei Patriarchi di Aquileia alla famiglia dei conti di Gorizia, e successivamente all’estinzione di questi all’Austria. La data è quella del 12 aprile del 1500. La situazione per il paese rimane immutata fino al 1814 quando dopo le vicissitudini legate alle guerre napoleoniche la Pace di Parigi cerca di mettere ordine ripristinando i confini del 1792. Il tratto di confine, che separò il Lombardo Veneto dal Regno dell’Illiria prima, il Regno d’Italia dall’Impero Austroungarico poi, rimase quasi inalterato dal 1814 alla fine della Grande Guerra. Quei confini però necessitavano di alcune rettifiche, in quanto c’erano degli inclusi, (delle zone “a macchia di leopardo”) ovvero delle isole austriache in territorio veneto (es Albana). Quindi l’antico confine venne modificato.
Jalmicco, che apparteneva all’Austria venne aggregato al Lombardo veneto,mentre altre località, per esempio la vicina Viscone, passarono al Regno dell’Illiria. Cambiò quindi la vecchia linea di confine, come cambiarono le sue manifestazioni sul terreno. Questa linea confinaria assunse una conformazione assurda in una campagna priva di ostacoli naturali e richiedendo per questo moltissimi cippi confinari meglio definiti con il vocabolo TERMINI
COS’È UN TERMINE
Un termine non è altro che un manufatto in pietra o in cemento, ma a volte può essere anche una roccia o un tronco d’albero, posizionato sul territorio ad indicare che lì finisce una nazione e ne comincia un’altra. Ogni manufatto con questa funzione ha delle caratteristiche comuni.
Ogni manufatto riporta un numero di una o più cifre preceduto dalla lettera N più una lettera o un numero più piccoli che distinguono i termini secondari.
Un secondo elemento caratteristico è la scritta, bifronte che riporta il nome delle due nazioni che divide. Nei termini jalmicchesi su un lato c’è l’indicazione Italia, su quello opposto Austria.
In basso, sotto alla scritta, vediamo un numero di 4 cifre. Rappresenta il millesimo, ovvero l’anno del trattato o della stipula del verbale di confinazione. Per quanto riguarda i nostri cippi, l’anno che vediamo con più frequenza è il 1911.
Il confine del 1866 (dopo la terza guerra di indipendenza quando l’Italia, ormai unita, annetté Veneto e Friuli) fu soggetto a sue revisioni, la prima nel 1887 e la seconda nel 1911-12. Queste portarono alla soluzione di molte divergenze ma fu proprio quest’ultima che portò alla posa di un rilevante numero di termini.
Questi piccoli monumenti possono avere fogge diverse secondo il periodo al quale appartengono.
Vediamo che entrambe queste pietre riportano il n° progressivo 42 ed in effetti anche geograficamente non sono poste molto distanti l’una dall’altra.Termine tipo 4c
La prima è costruita in pietra dura. Definita dagli storici del tipo 3c, è alta circa un metro, ha la base di 20X30 cm. La parte superiore a volete può essere semicircolare. Appartengono al periodo di confinazione 1815-1866.
Questo secondo tipo di termine, definito 4c. Appartiene alla revisione del confine del 1911-12. Questi manufatti costruiti in cemento armato sono stati posizionati sul territorio per volere della Commissione Internazionale. Hanno una forma regolare perché sono stati costruiti utilizzando degli stampi. Li troviamo in tre forma diverse: il tipo speciale, alto 2 metri e il tipo “normale” alto un metro e mezzo per i punti principali, il tipo “nano” alto circa 90 cm per indicare i punti intermedi. Quest’ultimo, proprio per il suo uso, è quello che notiamo più di frequente nelle campagne jalmicchesi.
Le cartine proposte sono tratte dal testo “Antichi termini confinari del Friuli” della Del Bianco Editore
Nella cartina è rappresentato il confine prima della fine della prima guerra mondiale. E’ un confine che si sviluppa zigzagando in una campagna priva di ostacoli naturali.
Il confine friulano ha subito, tra il 1521 e il 1759, ben 10 rinnovamenti confinari.
Ma perché Jalmicco è importante nell’analisi di questi cippi?
La massima concentrazione di queste pietre la si ha proprio nell’ex Comune Censuario di Jalmicco ed è dovuta all’assurdità della linea di confine che stanno a rappresentare. In un tratto lungo meno di quattro chilometri e mezzo troviamo i termini compresi dal n° 26 al n°43.
Jalmicco infatti viene definita dagli studiosi come “capitale” dei termini di confine, proprio perché la confinazione è zigzagante e senza senso. Per questo motivo ha richiesto un numero altissimo di pietre confinarie per delimitare le aree di competenza.
La definizione comune censuario apparteneva a quelle località di confine nelle quali veniva svolta attività di dogana. Venivano censite le merci in transito (da qui la definizione censuario) per fare in modo di calcolare l’ammontare della GABELLA (dazio).
Come sappiamo il territorio, pianeggiante e servito da strade comunali e interpoderali, ben si presta a questa riscoperta anche se, spesso, è necessario aguzzare lo sguardo per trovare questi piccoli monumenti nascosti oppure cercare di avventurarci alla ricerca di queste pietre nei momenti di maggior lavoro nei campi. E’ facile trovare chi, dall’alto di un trattore, ti indica in un batter d’occhio ciò che stai cercando.
Le pietre di confine rappresentano un bene che, purtroppo, è quasi sconosciuto da chi non lavora la campagna oppure non è uno storico. Non sono tutelate dalle amministrazioni locali e nazionali ed è per questo che dobbiamo prendere atto che si tratta di testimonianze che vanno rivalutate e rispettate dalla collettività.
Testo e foto di G. Mattalone
Per le cartine si ringrazia Del Bianco Editore